Vaglio è un comune attestato già nel Trecento, anche se il nome si scriveva senza la “g” e risultava Valio o Vallio. Dal Cinquecento comparve anche la “g”.
Il paese di Vaglio sta sul declivio che scende verso il fiume Vedeggio, ma il quartiere ha anche un vasto territorio pianeggiante che comprende buona parte dei boschi di San Clemente. Oggi sono boschi, ieri erano “campagna” (cioè prati e coltivi) l’altrieri addirittura un paese: Redde. Dove è rimasta solo la torre, già nel Trecento c’era un comune. Poi questo è sparito e dal Cinquecento nessuno più lo ha menzionato. Nessuno conosce le cause della sua scomparsa.
Il nucleo è un labirinto di stradine, viottoli, piazzette, portici. C’è anche la “piazza Castèll”, chissà perché avrà preso questo nome. C’è un bellissimo lavatoio con quattro vasche: una per attingere l’acqua, una per l’abbeverata delle mucche, una per lavare i panni e una per il risciacquo. D’inverno sull’acqua galleggiano le figurine del presepe, a volte incastrate nel ghiaccio.
La chiesa di sant’Antonio da Padova è, nel suo piccolo, una Sagrada Familia. Come l’edificio di Barcellona porta il nome di “tempio espiatorio” e cioè è stata costruita grazie ai contributi della gente. E come la sua sorella maggiore è in stile gotico fiorito o liberty: l’alternanza di pietre e laterizi crea ricche decorazioni, linee movimentate, pinnacoli e volute. La costruzione, su progetto dell’architetto Ernesto Quadri di Lugaggia, è terminata nel 1916 ed è dedicata a sant'Antonio da Padova e ai santi Filippo e Giacomo.
La chiesa di sant’Antonio e le altre due del villaggio (San Clemente e Madonna del Casletto), appartengono ai terrieri di Vaglio. Fanno parte della comunità dei terrieri tutti gli abitanti del paese e l’organizzazione è proprietaria degli oratori, ma spesso anche di lavatoi, pozzi e forni. Quella dei terrieri è una forma di gestione della proprietà comune tipica di molti abitati della Capriasca.
Chi abita a Vaglio è un “parpavái”, che significa farfalla. L’abitudine di dare un soprannome agli abitanti dei paesi è tipica della cultura contadina e naturalmente il nomignolo è in dialetto, lingua che ancor oggi viene parlata da alcune famiglie capriaschesi. Praticamente gli abitanti di tutti i paesi della pieve hanno il loro soprannome.
Nella campagna di Vaglio sta la fattoria “La Fonte”, dove lavorano persone con handicap. Qui c’è anche un torchio per schiacciare le mele e farne succo. Le piante di melo sono una caratteristica della campagna capriaschese: ce ne sono di varie qualità, cosicché la raccolta poteva avvenire da maggio a novembre. Poco distante dalla fattoria è stato realizzato un meleto didattico.
La sera della domenica di Pasqua, in quella che una volta era la piazza del paese e dove oggi sta l’ufficio postale, si fa l’incanto delle uova. La mattina i ragazzi passano di casa in casa a raccogliere uova e formaggio (una volta era così, ora si prende di tutto e si fa il “cestone”) che poi vengono messi all’asta ed aggiudicati al miglior offerente. Il beneficio della vendita viene versato alle tre chiese del paese e al convento del Bigorio.
Per raggiungere Redde ci si addentra nel bosco. Si cammina per una trentina di minuti e compare una torre solitaria. È l’unico resto visibile del paese che qui stava 700 anni fa. L’edificio, documentato già nel 1310, apparteneva probabilmente ad una nobile famiglia comasca: i Rusca. Grazie all’associazione “Redde Vive”, ogni due anni qui si svolgono le feste medievali.
Poco distante dalla torre c’è la chiesa di San Clemente, adagiata nel bosco. È possibile che in origine fosse la chiesa del villaggio e forse ci è vissuto anche un eremita. Ma come molte cose di questa terra, un alone di mistero avvolge la storia. I capriaschesi vanno a san Clemente per implorare la pioggia nei momenti di siccità.
Personaggi noti
Padre Fedele, al secolo Giovanni Airoldi di Vaglio (1874-1951), fu il promotore della chiesa di sant’Antonio da Padova, consacrata nel 1916 (il secondo anno della guerra, come sta scritto sulla facciata). Assieme a lui, nell’impresa, un altro nativo di Vaglio: padre Giovanni Baruffaldi (1873-1928). Entrambi vivevano al convento del Bigorio, che da sempre mantiene stretti legami con la comunità di Vaglio.